Ramesh Balsekar
Ramesh Balsekar
estratti
Quando
nella coscienza sorge la consapevolezza assieme al pensiero 'io
sono', sorgono simultaneamente e spontaneamente gli elementi puri
(tanmatra) e i sensi (che in realtà sono il puro vuoto della
pienezza totale). Poi, l'esperienza dei cinque elementi e delle
cinque sfere sensoriali provoca l'identificazione della coscienza
universale con il senso dell'io. L'illuminazione porterà invece la
disidentificazione dalle esperienze sensoriali e quindi la libertà
dall'illusoria sofferenza mentale.
In
realtà nella coscienza infinita non c'è né l'intenzione
dell'energia cosmica di esprimere se stessa né alcun velo
dell'illusione, La manifestazione dell'universo è semplicemente
l'espressione oggettivata dell'Assoluto soggettivo in cui, essendo il
Soggetto, non c'è la minima traccia di oggettività.
L'infinita
coscienza universale si identifica nella forma individuale in quanto
coscienza personale; dopo di che, questa coscienza personale si mette
alla ricerca della sua sorgente, della sua vera natura!
La
comprensione della verità comporta la presa di coscienza che
l'ignoranza non è una realtà, ma un'illusione. Nella coscienza non
c'è nessuna divisione, nessuna separazione, che possa essere
definita `mondo' o 'creazione'. Tale creazione illusoria emerge dal
nulla e alla fine si dissolve nel nulla. La sua vera natura è vuota
e quindi inesistente. Questa è la verità: ciò che non esisteva
all'inizio non esisterà alla fine, e non esiste nemmeno ora. Ecco la
verità. L'apparente manifestazione è come un sogno, e l'unica
realtà in cui la manifestazione appare e scompare è la coscienza
infinita. Nessuno nasce, nessuno vive, nessuno muore: questa è la
verità. L'idea che la coscienza appare sotto forma di universo, così
come la corda che appare sotto forma di serpente, serve solo a
intrattenere gli ignoranti e gli ingenui.
L'illuminato
è continuamente radicato nella verità immutabile, nella
consapevolezza diretta che non c'è nient'altro che il Sé. Una volta
perse le qualità della mente, ne prendono il posto gli elementi
essenziali dell'infinito; quando la mente sgombra il campo, subentra
la coscienza pura. La creazione esiste finché esistono il pensiero e
la concettualizzazione.
É
grazie alla percezione, cioè all'aspetto soggettivo della
manifestazione insita nella coscienza, che l'essere umano si
considera un'entità separata, autonoma e indipendente, dotata di
libertà di scelta e di azione. Questo errore nasce dal fatto che
egli dimentica che l'aspetto oggettuale, percepito, della sua stessa
apparenza fa parte della totalità della manifestazione. Benché
possa sembrare il contrario, l'essere umano, come tutti gli esseri
senzienti, oggettivamente non è altro che un fantasma, una figura di
sogno, mossa esattamente come i burattini di un burattinaio. Tutto
ciò che l'essere umano fa è concettualizzare creando immagini e
interpretazioni illusorie per mezzo di quel meccanismo psicosomatico
che è il corpo. Qualunque 'esistenza' fenomenica è ipotetica.
Qualunque azione è immaginata, sognata, da un sognatore che non ha
nulla di oggettivo, e quindi dalla coscienza in qualità di soggetto.
Tutto ciò che è percepibile in termini di oggetto è un sogno, una
fantasia del vivere. “Noi” siamo le figure sognate, gli oggetti
fenomenici del sogno vivente del soggetto che sogna: la coscienza
che, in quanto tale, è anch'essa un concetto. La chiara e profonda
comprensione di questa situazione è il risveglio, l'illuminazione.
Non
è troppo difficile capire con l'intelletto che fondamentalmente noi
siamo la sostanza immanente, e non l'ombra tormentata e fugace, ma è
davvero raro avere la totalità di questa comprensione in modo
intuitivo. Il motivo è che la comprensione non è accettata in
quanto tale, ma deve avere l'aggiunta di un 'colui che'. Un verbo non
viene accettato senza un soggetto e un evento deve avere un
protagonista individuale. In termini leggermente diversi: il
carattere illusorio di ogni cosa nell'universo può essere compreso e
accettato, salvo la natura illusoria di 'colui che' lo comprende e lo
accetta! È quasi impossibile accettare il totale annientamento di
un'identità che è stata fabbricata da un continuo condizionamento.
Anche
il grande detto (mahàvàkya) `tu sei Quello' è rivolto a un 'tu'. È
come se l'individuo non potesse dimenticare di essere un individuo,
anche se gli viene ripetuto in continuazione che non esiste nessun
individuo come entità autonoma e indipendente!
Nella
creazione non c'è nessuna reale varietà o molteplicità. La varietà
è un'apparenza nella coscienza, che si basa sulle idee che si
formano in una determinata coscienza individuale nel corso
dell'evoluzione (o, se preferite, involuzione). I concetti si
compenetrano mediante infinite combinazioni e permutazioni, e grazie
a queste diversificazioni si produce una varietà infinita. Ma la
molteplicità è soltanto apparente nell'infinita coscienza
universale. Ogni azione compiuta in qualunque momento da tutti gli
organismi composti di corpo e mente produce determinate reazioni nel
futuro, che si rifletteranno nelle azioni compiute da nuovi organismi
individuali. Queste produrranno a loro volta altri risultati,
perpetuando così il ciclo di causa ed effetto attraverso la
creazione di nuovi personaggi nella commedia infinita della vita e
del vivere in questo mondo. L'evoluzione produce tutta una sequenza
di 'vite' che progrediscono in direzione del fenomeno supremo
chiamato 'illuminazione', stato in cui non c'è insoddisfazione per
una qualunque passata aspettativa e non si crea nessuna nuova
aspettativa intenzionale. Ma in questo processo evolutivo, che muove
da un senso di insoddisfazione per i piaceri materiali e sensoriali,
passando per l'imparzialità e l'indagine sul Sé e culminando nella
totale abdicazione e rinuncia alla volontà e all'identificazione
(significato ultimo dell'illuminazione), non è coinvolta nessuna
entità individuale. Non è un'entità individuale che nasce e
rinasce: tutto ciò che avviene è un progresso graduale nell'arco di
molte vite, che tuttavia non riguarda una particolare entità, verso
la definitiva disidentificazione della coscienza universale dalla
particolare forma fisica in cui si è identificata come coscienza
personale, o mente. La schiavitù del presunto individuo appare a
causa di un'errata identificazione. Ciò che siamo è la coscienza
vivificante, il noumeno; ciò che pensiamo di essere è l'oggetto
fenomenico in cui la coscienza vivificante infonde la facoltà di
sentire.
L'esperienza,
essendo concettuale, avviene sempre nell'ambito del tempo. Nel
momento presente, ora, non c'è nessuna catena orizzontale di momenti
successivi che creano una durata. Ora non c'è né 'io' né
'esperienza'. È essenziale distinguere tra l'esperienza e il fare
esperienza. Un 'sé', che si considera autonomo, che vive e muore, fa
parte della fantasia del tempo.
Pensare
e sentire, se non interpretati come pensieri ed emozioni da un io
individuale, sono impersonali e non oggettuali. Non essendo
sperimentati da un qualcuno, essi sono l'esperire stesso, che è
tutto ciò che noi possiamo essere.
Non
esistiamo in quanto entità consce e razionali, ma non possiamo
neppure non esistere, perché l'assenza di un'esistenza certa
comporta anche l'assenza del suo contrario interrelato. Ciò che
siamo è il percepire senza un io che percepisce. Ciò che siamo, ciò
che sono, non può essere conscio o consapevole, perché è coscienza
o consapevolezza. È impossibile essere coscienti della coscienza,
consapevoli della consapevolezza.
E'
assiomatico, benché raramente accettato, che nessun oggetto può
essere reale (in quanto privo di natura propria o di 'essere'
proprio) e quindi che noi non esistiamo. Un essere senziente è una
mera immagine mentale, un'apparenza percepita e concepita dal
'soggetto' di ogni singola oggettivazione. Non siamo noi che
percepiamo e concepiamo, perché non esiste un `noi'. 'Noi' e 'loro'
ci percepiamo, ci concepiamo e ci interpretiamo reciprocamente. Ciò
significa ovviamente che deve esserci un'unica fonte di percezione
che percepisce attraverso i molteplici strumenti percettivi che siamo
'noi'. Ognuno di questi strumenti è sentito come un'apparente
entità, benché privo di qualunque esistenza reale individuale.
Se
in noi stessi non siamo nulla, se non esistiamo come entità
autonome, a chi è rivolto questo libro? La risposta, come ripeteva
Nisargadatta Maharaj è: la coscienza universale parla alla coscienza
identificata.
Un
oggetto o un evento non esistono indipendentemente dal nostro
percepirli.
Posso
anche credere che l'intero universo sia un sogno e che tutti gli
esseri umani e tutti gli altri esseri senzienti siano personaggi
onirici all'interno di questo sogno, ma finché l'io si considera un
`rne stesso' esterno al sogno, non sono più vicino a risvegliarmi.
…Da
questa visione sorge l'atteggiamento sereno di rispettosa fiducia
nella natura e nell'uomo, atteggiamento illustrato dall'aneddoto di
un contadino a cui scappò il cavallo: quando i vicini vennero a
dolersi per lui, disse: "Sfortuna? Chi può dirlo?".
L'indomani il cavallo tornò portando con sé sei cavalli bradi. I
vicini corsero a congratularsi per la sua fortuna. "Fortuna? Chi
può dirlo?". il giorno dopo, il figlio del contadino provò a
montare uno dei cavalli bradi, cadde e si spezzò una gamba. I vicini
tornarono a commiserare la disgrazia, ma il contadino disse:
"Disgrazia? Chi può dirlo?". L'indomani giunsero al
villaggio i reclutatori dell'esercito e presero tutti i giovani, ma
scartarono il figlio del contadino a causa della gamba rotta. Ai
vicini che commentarono: "Alla fine tutto si è risolto per il
meglio", il contadino rispose: "Chi può dirlo?".
La
presunta volontà del presunto individuo è irrilevante. Il cosmo è
unità implicita che si manifesta come dualità esplicita.
Tutto
ciò che accade è il prodotto di azioni passate, della volontà
divina e di altri fattori. Riguardo al libero arbitrio, c'è solo
fintantoché è presente il senso di essere gli autori delle azioni;
quando esso cessa, sarà la volontà divina a essere vista come il
motore del corso degli eventi.
Tutto
ciò che questo corpo deve fare e sperimentare era già deciso quando
è venuto in esistenza.
"Ci
sono solo due modi per sconfiggere il destino o rendersene
indipendenti. Il primo è chiedersi chi riguarda questo destino e
scoprire che solo l'io è legato al destino, e non il Sé, e che l'io
non esiste. L'altro è uccidere l'io arrendendosi completamente a Dio
Esaminando
il problema della volontà o della libera scelta sarebbe più saggio
limitare il nostro ruolo nel processo decisionale a quello di un
semplice testimone!
La
prima linea divisoria tra il 'se" e il 'non sé' è quella che
separa un organismo dal mondo circostante: la pelle.
Il
corpo ha la stessa natura di una cosa posseduta, ma il suo possessore
non è l'illusorio 'io' concettuale, bensì la coscienza impersonale
che, in seguito all'identificazione con l'organismo individuale, ha
perduto la sua universalità assumendo un aspetto personale. In
realtà, ciò che si considera in schiavitù e cerca la liberazione
non è l'illusorio 'io' concettuale, ma la coscienza stessa che vuole
deporre l'aspetto personale e ritornare all'universalità
impersonale.
...Con
l'adolescenza la frattura è così totale che l'individuo pensa di
essere soprattutto la mente. Il corpo è visto come una mera
appendice, nostro "fratello asino", come lo chiamava san
Francesco, utile soltanto a spostarsi nel mondo. è sempre a causa di
questa dicotomia che abbiamo la durevole sensazione che le nostre
decisioni e azioni siano dettate da una minuscola creatura che vive
nel cervello. Ma, appena si prende coscienza che ciò che siamo è la
coscienza universale (che fa muovere come marionette tutti i
meccanismi psicosomatici...
Comprende
che la causa della sua infelicità non è nel mondo esterno, come gli
piace credere, ma in se stesso.
L'io
deve scomparire. Quando la mente si arrende, la coscienza personale
comprende di essere la coscienza universale, che è il vero
significato dell'illuminazione. La vera resa della mente comporta
quindi la comprensione che l'individuo (con tutti i suoi aspetti
mutili) non è mai esistito se non come costruzione mentale nella
coscienza; esso non ha mai avuto alcuna indipendenza o autonomia, e
l'organismo è un oggetto come qualunque altro nella manifestazione
fenomenica,
Il
primo movimento di questa trasformazione è un profondo senso di
insoddisfazione nei confronti della vita. che il vedanta indica come
'distacco'. Questo sentimento viene interpretato dai professionisti
della psiche come “disadattamento”.
Questo
distacco, questa profonda insoddisfazione per la vita, è il momento
in cui la coscienza personale si volge all'interno, è il punto di
non ritorno nella ricerca della sorgente.
Con
la fine dell'io, la comprensione suprema sorge spontaneamente,
naturalmente e istantaneamente. Il distacco, nato dalla sofferenza
che la persona stessa ha prodotto, porta ad arrendersi a ciò che è
“qui e ora”. Passato e futuro cessano di avere significato,
perché ci si arrende al momento presente.
La
vera resa presuppone la comprensione dell'impotenza dell'individuo a
causa della sua illusorietà (e quindi dell'illusorietà dei confini)
e porta alla liberazione da ogni confine.
In
realtà sei la Pura Coscienza, per tua stessa natura. Non sminuirti
considerandoti da meno.
All'inizio
la pratica dell'indagine sul Sé è forzatamente un'attività
intellettuale, ma presto la percezione intellettuale dell'io lascia
il posto a un'esperienza soggettiva totalmente disidentificata dagli
oggetti e dai relativi pensieri.
La
realizzazione del Sé è sempre improvvisa, anche se non si presenta
necessariamente come un fenomeno eclatante. Forse, la sua
caratteristica più evidente è la totale assenza di dubbi, poiché
dubbi e problemi esistono solo a livello della persona,
dell'individuo, e mai al livello della totalità. Dove non ci sono
dubbi non c'è nemmeno senso di colpa: tutto ciò che accade è parte
del funzionamento della totalità.
La
liberazione è percepita non come un fatto personale, ma come un
evento all'interno della totalità. Chi è legato da chi e chi libera
chi?
Questa
assenza di coscienza nel sonno profondo o sotto sedazione è solo
temporanea, e corpo e mente continuano a esistere e ad agire come
entità individuali illusorie. Alla morte il corpo muore, ma il
condizionamento mentale sotto forma di pensieri, desideri, ambizioni
e così via rimane nella totalità della mente interna alla coscienza
e, a un certo punto dello sviluppo della totalità del funzionamento,
produrrà un altro apparato psicosomatico. Ma se la
concettualizzazione cessa del tutto e ciò che è viene percepito
chiaramente, l'esistenza di un corpo fisico diventa irrilevante e non
c'è più rapporto tra la mente, il corpo e i sensi. Il meccanismo
psicosomatico si occupa allora dell'equilibrio della propria
esistenza come parte del funzionamento totale, senza alcuna illusione
di volontà propria.
Il
fatto è che la coscienza, limitandosi da sé in un meccanismo
corpo-mente individuale, dimentica la propria universalità e,
diventando suscettibile di concettualizzazione, prende il nome di
mente. La natura dell'indagine sul Sé non è sempre compresa con
chiarezza; l'indagine "Chi, o che cosa, sono io?" è la
ricerca della sorgente dell'io. È questo sforzo-senza sforzo che
conduce all'appercezione della verità. Lo scopo non è quello di
riempire la mente con altri pensieri come "io non sono questo
corpo", perché l'indagine sul Sé inizia appunto quando
l'analisi intellettuale finisce.
L'indagine
sul Sé è molto diversa dall'introspezione psicologica, perché non
è affatto un processo mentale. L'introspezione è l'analisi dei
contenuti della mente, mentre il fine dell'indagine sul Sé è la
scoperta del Sé al di là della mente. Il Sé è la sorgente da cui
sgorga la mente, l'io; e l'indagine sul Sé, che va alla ricerca
della sorgente dell'io che crede di essere in schiavitù e cerca la
libertà, conduce alla comprensione della nostra vera natura.
Il
sogno della manifestazione fenomenica sorge nel vuoto fenomenico,
vuoto che non è un nulla morto, ma una pienezza brulicante di
potenzialità. Da ciò che è 'in potenza' nell'ignoto (cit-àkàsa)
si produce il noto che è 'in atto' (mahad-àkasa). Se ne prendiamo
coscienza ci godiamo l'immensa burla della lila fenomenica;
altrimenti la 'vita' diventa l'infelicità del samsara. Non c'è vera
differenza tra lo stato di veglia e quello di sogno, salvo che il
primo sembra più stabile del secondo; ma i contenuti di entrambi gli
stati e le sofferenze vissute sono di natura simile. Il punto
fondamentale è che, mentre sogniamo, il sogno è considerato reale
come lo stato di veglia e quindi altrettanto stabile, e solo al
risveglio capiamo che quello che consideravamo il nostro stato di
veglia era soltanto un nostro sogno. Allo stesso modo, solo con il
'risveglio' dell'illuminazione avviene la comprensione che il mondo
di veglia è solo un lungo sogno. L'apparente stabilità del mondo di
veglia è illusoria quanto quella del sogno, perché quello che al
risveglio si riconosce come un breve momento di sogno, durante il
sogno può sembrare lunghissimo o durare tutta una vita. Anche il
corpo che appare nel sogno sembra molto reale e le sue sofferenze
sono realmente dolorose. Allo stesso modo, in quello che consideriamo
lo stato di veglia, ciò che appare come un corpo realmente solido e
le sue sofferenze sono in realtà un'illusione prodotta da una
disposizione mentale, da un movimento insito nella coscienza. Quando
si prende coscienza che il mondo, che sembra così reale, è un
riflesso della nostra vera natura, tutte le paure e le illusioni
scompaiono. I concetti di schiavitù e liberazione sono mere
modificazioni mentali che, prive di esistenza indipendente, non hanno
neppure un funzionamento autonomo. Ma il fatto stesso di essere
modificazioni suggerisce che deve esserci qualcosa qui e ora,
qualcosa di autonomo e indipendente, un sostrato che ne costituisce
la sorgente e il fondamento. L'indagine sul Sé rivela che i concetti
di 'schiavitù' e 'liberazione' sono relativi a me e che questo 'me'
è un mero concetto. Quando il 'me', ossia l'io, scompare, rimane il
sostrato di tutte le cose manifeste, di tutti i pensieri e tutte le
attività. Quando la mente è continuamente rivolta alla sorgente,
senza esteriorizzazioni né oggettivazioni, la viva realizzazione di
questa verità suprema, di questa realtà, sorge in modo naturale e
spontaneo.
Una
parte essenziale dell'indagine sul Sé è che non si tratta di un
metodo ristretto a un periodo fisso di meditazione, cosa che potrebbe
dare la sensazione di un 'compito a casa' spirituale, ma di qualcosa
che va esteso gradualmente a tutte le ore di veglia sino a diventare
ciò che sottende tutti i pensieri e tutte le azioni. L'indagine sul
Sé non è un esercizio attivo come una sadhana, quanto un processo
passivo che lascia che la mente sprofondi, acquietata grazie alla
ricerca della sua sorgente. Può iniziare da una seduta meditativa a
orari prestabiliti, ma più l'indagine si approfondisce e più si
risveglia la sua natura di corrente sottostante, allargandosi a poco
a poco a tutte le attività senza essere intrusiva e senza inserirsi
a forza in esse. Questa costante consapevolezza del funzionamento
della mente assume in ultimo la forma del testimoniare ciò che
accade senza scegliere né giudicare. I pensieri intrusivi vengono
recisi al loro apparire: in questo modo la concettualizzazione è
stroncata sul nascere e l'attenzione non frammentata è tutta
sull'attività in atto, con il risultato di una sempre maggiore
efficienza e una sempre minore interferenza da parte dell'io. Questa
è la vera meditazione praticata in tutte le attività quotidiane.
La
coscienza è priva di forma e priva di nome. C'è soltanto coscienza:
tutto ciò che sembra diverso dalla coscienza non è nient'altro che
coscienza. Non si può prender coscienza di colui che vede finché ci
si considera un oggetto e non si può comprendere la natura del Sé
finché è considerato un oggetto l'intero universo. Il motivo è
che, finché la dualità non è vista per quello che è, cioè un
mero strumento per percepire e apprendere la manifestazione
fenomenica, e non come una realtà in sé, persisterà la divisione
soggetto-oggetto e non si potrà comprendere l'unità della
coscienza.
Solo
abbandonando la separazione tra ciò che vede e la cosa vista si
comprende che ciò che vede e la cosa vista sono due elementi
necessari e interconnessi della funzione del vedere
Qualunque
sforzo prodotto dall'entità illusoria conduce alla frustrazione.
Solo lo sforzo privo di sforzo (il testimoniare passivo) sulla via
senza via (il puro conoscere senza un io che conosce) può condurre
allo scopo senza scopo (Quello che è sempre stato presente qui e
ora). La questione di quanto lo sforzo di un uomo sia in relazione
alla nascita del distacco che conduce alla grazia divina, la quale
immette a sua volta sul 'sentiero' della liberazione, è stata sempre
molto dibattuta. I maestri affermano che senza sforzo non si ottiene
niente, ma nello stesso tempo sostengono che quello che è destinato
ad accadere accadrà. Servono a qualcosa sforzo e preghiera? Oppure
dobbiamo rimanere inattivi? In realtà, queste affermazioni
apparentemente contraddittorie dei maestri significano che proprio il
senso 'io faccio' è l'impedimento. Se siamo destinati a fare
qualcosa non potremo evitarlo, in qualche modo verremo costretti. Non
sta a noi decidere di fare o non fare, perché l'individuo non
possiede una volontà autonoma e indipendente. La schiavitù, o
l'ostacolo all'illuminazione, non è lo sforzo, ma il senso di essere
l'autore delle azioni: ecco il messaggio dietro l'apparente
contraddizione dei maestri che in genere sembrano seguire in teoria
la predestinazione e in pratica la libera scelta.
Forse
il puzzle va a posto da solo se Io guardiamo dalla prospettiva della
totalità del funzionamento, tramite cui si dispiega il 'grande
disegno'. Qualunque evento avvenga in un particolare apparato umano,
incluso quello che prende il nome di 'illuminazione', è scritto nel
canovaccio di questa rappresentazione che è la vita. Il processo
che, attraverso l'evoluzione spirituale, culmina nel fenomeno
dell'illuminazione può essere analizzato e suddiviso teoricamente in
sette stadi. Il primo stadio è la considerazione che i piaceri
materiali sono instabili e transitori, seguita dall'inizio della
ricerca di una felicità più stabile e durevole. Di qui nasce il
processo dell'indagine sul Sé, che può includere anche la ricerca e
l'associazione con uno o più guru. A questo punto sorge un forte
senso di distacco grazie al quale la mente diventa più sensibile,
più sottile e più trasparente. In seguito a questi tre stadi nasce
un distacco ancora più profondo, un naturale allontanarsi dagli
oggetti dei sensi e un volgersi ancora più risoluto verso la nostra
vera natura. Questo volgersi verso la verità si installa sempre più
saldamente nella psiche e, nel quinto stadio, allunga le radici in
direzione del vero Sé. Il sesto stadio compare quando la mente,
ormai profondamente radicata nel Sé, cessa di concettualizzare e di
oggettivare, e il mondo delle apparenze è visto come un riflesso del
vero Sé. Nel settimo e ultimo stadio si vive sempre nel momento
presente (stato noumenico), senza alcun senso di essere l'agente
delle azioni, come una foglia trasportata dal vento. E' lo stadio
della trascendenza, in cui tutto è spontaneo, naturale e indiviso.
Come un attore incarna personalità diverse in un'ampia gamma di
ruoli, anche la mente crea vari stati di coscienza, quali la veglia e
il sogno, e fa esperienza di ciò che oggettivizza. La mente non è
altro che la concettualizzazione, il pensiero; ma, se aderisce
saldamente a `ciò che è', pensiero e oggettivazione cessano e
rimane unicamente la Realtà. Non avviene mediante Io sforzo, ma solo
come risultato di una perfetta comprensione e di una convinzione
altrettanto profonda. "La comprensione è tutto". La
comprensione e la convinzione producono l'appercezione di ciò che è.
Allora la coscienza, che si identificava erroneamente con il corpo
inerte, riconosce la propria universalità e l'identificazione ha
termine. Ciò non richiede nessuno studio delle scritture, disciplina
o pratiche meditative, ma soltanto la percezione profonda, spontanea
e immediata di ciò che è, del fatto che la totalità della
manifestazione fenomenica è l'espressione oggettuale del noumeno
soggettivo. L'entità individuale è irrilevante, inesistente. Allora
la mente è risanata nella sua pienezza e santità. L'ignoranza, il
condizionamento mentale, produce un flusso incessante di oggetti
fenomenici con il processo dell'oggettivazione, ma solo finché non
nasce la naturale aspirazione alla conoscenza del Sé attraverso il
distacco. L'ombra
rimane davanti a noi solo finché voltiamo le spalle al sole.
L'ignoranza
crea il sogno vivente, e perverte esperienze e rapporti
trasformandoli in dualismo; ma, nel momento in cui avviene la
comprensione della vera natura della manifestazione fenomenica, che è
stata paragonata al figlio di una donna sterile, l'ignoranza viene
smascherata e annullata. Quando
l'acqua smette di scorrere, il fiume si prosciuga;
quando il dualismo dell'ignoranza cessa e la concettualizzazione
finisce, c'è assenza fenomenica e presenza noumenica.
L'ignoranza
scompare non appena si comprende che tutto ciò che esiste è
l'infinita coscienza universale. Tutte le manifestazioni fenomeniche
sono apparizioni nella coscienza, simili a riflessi in uno specchio,
e quindi illusorie. Esiste solo coscienza, che può essere definita
attraverso il pronome di prima persona 'Io'.
La
montagna non si preoccupa della nuvola che l'avvolge;
allo stesso modo l'Io (l'infinita coscienza universale) è totalmente
indipendente da dolore e felicità, anche se sembra esservi
associato. L'Io è indipendente dai sensi, che entrano in contatto
con i rispettivi oggetti senza esservi obbligati da alcun
condizionamento precedente. Pensare: "Sto vedendo questo" o
"Sto sperimentando quello" è ignoranza, illusione. Se c'è
questa comprensione, le azioni avvengono in modo naturale e
spontaneo, senza essere macchiate da passate impressioni conservate
nella memoria. È così che l'agire è vero non agire, che non è un
non fare nulla, come invece spesso si crede. In realtà la coscienza
non può subire nessun condizionamento, perché è infinita e più
sottile del sottile.
La
comprensione può non essere seguita da uno scoppio incontenibile di
gioia. Ad esempio, si narra che dopo l'illuminazione il Buddha rimase
seduto in completo silenzio per sette giorni, pensando: “coloro
che sono destinati a comprendere comprenderanno anche se non
pronuncio una sola parola, coloro che sono destinati a non
comprendere non comprenderanno anche se parlassi incessantemente,
coloro che sono destinati a comprendere comprenderanno attraverso
qualche parola o qualche evento anche insignificante, coloro che
stanno per risvegliarsi dal sonno si risveglieranno al più piccolo
suono o alla brezza più lieve, mentre altri non si risveglieranno
nemmeno se venissero scossi con violenza. “
Un
corollario diretto di questa comprensione fondamentale è il fatto
ugualmente innegabile che il desiderio di 'liberazione' dalla
schiavitù di questa vita nasce spontaneamente in modo diverso da
individuo a individuo. Qualcuno può essere profondamente interessato
a scoprire il vero Sé, mentre un altro può averne un interesse
superficiale e sporadico. Infine, un terzo tipo può non avere nessun
interesse perché è attratto solo dalle cose materiali e dai piaceri
sensoriali. La comprensione suprema include la convinzione che
nessuno di questi tre tipi è da lodare o biasimare, perché per
nessuno di essi si tratta di una scelta. Ogni tipo occupa una certa
posizione nell'evoluzione spirituale all'interno della totalità del
funzionamento, posizione determinata al momento del concepimento
quando lo spermatozoo paterno si installa nell'ovulo materno. Occorre
comprendere con chiarezza che nessuna volontà o decisione può
indurre cambiamenti sostanziali, a meno che, ovviamente, anche questo
non faccia parte del grande disegno della totalità del
funzionamento. Senza la comprensione di questo punto, il senso di
essere i responsabili delle azioni non farà che rafforzare l'io e
rendere molto più difficile l'evento dell'illuminazione. Ma anche
questa comprensione è parte del funzionamento totale! II tema della
volontà e dello sforzo personale è estremamente sottile e di non
facile comprensione; ciò nonostante è assolutamente necessario non
solo capirlo intellettualmente, ma interiorizzarlo in tutto il nostro
essere. Come ho già detto, il problema sembra derivare dal fatto che
i maestri insegnano in teoria la predestinazione e in pratica il
libero arbitrio. Ma questa apparente contraddizione è facilmente
risolvibile se si tiene a mente il concetto di evoluzione spirituale
trattato in precedenza. La totale illusorietà dell'individuo e del
suo presunto sforzo è facilmente comprensibile da chi si trova già
sul ciglio dell'illuminazione, mentre chi è più in basso sulla
scala accetterà con maggiore facilità i concetti di sforzo,
determinazione e concentrazione.
Scomparendo
l'illusione, anche la sete di piaceri sensoriali scema gradualmente.
Così come sappiamo che il ritratto di una bellissima donna, per
quanto vivo e realistico, non è la donna, capiamo anche che i
piaceri sensoriali, per quanto sembrino piacevoli, non danno pace e
felicità durevoli.