Riflesso di me stessa ma identificata
in questo oggetto umano, in questo corpo-mente.
IO SONO la Coscienza, niente mi ha creata
poiché sono il Divino, sono la Sorgente.


Nan Yar?
Tat Tvam Asi!

"IO SONO CIO' PER CUI SO CHE IO SONO"

Meditare con la Poesia

Le Assurdità di Essere - Memento



 



“Le Assurdità di Essere” è una raccolta di racconti la cui pubblicazione è prevista nel corso del 2022. 


Memento


Aprì gli occhi come tutte le mattine. Non avrebbe mai potuto ricordare come li avesse aperti la mattina precedente, né quante mattine erano già trascorse da quando li aveva aperti per la prima volta. I colori vivaci che filtravano dalle tendine lo colmarono di una inconscia felicità. La sua vita era priva di ricordi. Per lui, la parola “tende” era solo un suono senza senso, così come le parole “luce”, “sole”, “amore”.

Come un viaggiatore che ignora la lingua del paese straniero che lo ospita, Memento, questo il suo nome, percepiva voci e suoni senza potervi mai associare un significato. Ogni volta che un’automobile sfrecciava nella strada con un rombo assordante, Memento spalancava terrorizzato gli occhi, incapace di comprendere la natura di quel violento rumore. Per lui era sempre come se lo udisse per la prima volta.

Il suo destino era di non ricordare. Trascorreva lunghi minuti ascoltando il silenzio o il caotico movimento della via cittadina. Per lui non vi era differenza. Il tempo non era parte del suo mondo. Tutto si traduceva in percezioni e sensazioni sempre nuove che la mente non sapeva né interpretare né tantomeno archiviare. Memento non era in grado di comunicare, se non attraverso istintivi movimenti degli arti e del volto che nessuno tra coloro che lo assistevano avrebbe potuto mai interpretare. Ma era vivo. Probabilmente non avrebbe potuto articolare il pensiero “Chi sono? Dove mi trovo?” in quanto non ricordava alcuna lingua attraverso la quale formulare a se stesso quel pensiero. Ma inconsciamente si sapeva vivo, vivo e partecipe di quella realtà della quale percepiva l’esistenza grazie ai suoi sensi perfettamente funzionanti.

Ricordo (perché io posso ricordare!) la mattina in cui andai a fargli visita per la prima volta. Conoscevo bene le sue condizioni ma nonostante fossi preparato a quell’incontro mi sentii impacciato, titubante, come se vicino a me vi fosse qualche strana creatura aliena e non un essere umano. Non potevo parlargli: sapevo che non avrebbe compreso il significato delle mie parole. Gli appoggiai delicatamente una mano sulla testa e subito i suoi occhi vennero a cercarmi. Un abbozzo di sorriso parve scolpire le sue esili labbra.

«Memento.», sussurrai, ma nessun gesto parve indicarmi che avesse compreso che Memento era il suo nome. Gettò lo sguardo altrove, immediatamente dimenticandomi, per tornare a frugare in chissà quale sua personale realtà. Sedetti poco distante da lui. Sebbene potesse vedermi, sapevo che stava istintivamente ignorando la mia presenza. Provai a immedesimarmi in lui, tentando di capire come sarebbe stata la mia vita se anch’io, come Memento, non avessi avuto la facoltà di ricordare. Cosa si prova a osservare il mondo senza essere in grado di dare un significato a ciò che percepiamo?

Osservai la porta socchiusa: io so che quella è una porta e che il suo scopo è di chiudere l’apertura che è dietro ma… se non ricordassi né il nome né lo scopo per il quale la porta è stata costruita, cosa vedrei? Vedrei una sagoma scura… no, solo una sagoma, perché il chiaro e lo scuro sono due concetti che nascono nella mia mente grazie alla comparazione e, non ricordando, non potrei fare alcun confronto per definire chiaro o scuro un oggetto. Vedrei dunque solo una sagoma… rettangolare? No, senza memoria la geometria non può esistere nella mente. Una sagoma dunque, solo una sagoma: un’impressione che dalla retina percorre rapidamente il nervo ottico per poi diffondersi nei meandri del cervello, senza un nome, né un colore, né uno scopo.

Memento esiste. È qui, vivo, accanto a me. Ma quale significato può assumere per lui la parola “esistenza”? Anch’io, come lui, esisto. Anch’io, come lui, percepisco. La mia percezione però permane, non sfuma via un attimo dopo. Io possiedo la facoltà della memoria, Memento no. Io posso farmi un’idea, posso esprimere concetti, posso “pensare” utilizzando il linguaggio che ho memorizzato da piccolo. Memento non può imparare nulla. Memento non può farsi un’opinione perché nella sua mente non esiste la possibilità di comparare le sensazioni trasmesse dai sensi con quanto accumulato nella memoria. Memento non si domanda se ciò che osserva è buono o cattivo. Non è di buon umore se fuori della finestra splende il sole, né è triste se è una giornata piovosa. Tuttavia è vivo, vivo come lo sono io che invece ho la possibilità di confrontare il mio presente con il mio passato e auspicarmi un futuro bello come desidero.

Già, il desiderio! Cosa mai potrà desiderare Memento se non ha ricordo di sofferenze da cancellare o di gioie da replicare? Eppure è ancora lì, vicino a me, vivo come lo sono io. Se ci scattassero una fotografia, l’uno vicino all’altro, nessuno potrebbe distinguere chi dei due è privo di memoria. Perché una fotografia è un’istantanea della realtà; è il qui e ora dove passato presente e futuro perdono qualunque significato. Eppure io e Memento abbiamo una cosa in comune che neppure l’assenza di memoria potrà mai separare: siamo entrambi vivi. Entrambi esistiamo in un infinitesimale spicchio di universo ed entrambi non possediamo una risposta certa al perché io e lui siamo qui, ora. La mia coscienza, quella mia consapevolezza di esistere che Memento invece ignora, non mi è d’aiuto per sentirmi molto diverso da lui. I pensieri proiettati sullo schermo dei miei ricordi mi rappresentano una vita e un mondo molto diversi dai suoi. Io fuggo via, proiettandomi all’esterno. Sono continuamente preda del mio pensare, delle mie scelte, delle mie decisioni, dei miei desideri. Memento è lì: vive, e basta!

Chi tra noi due vive la vita e chi invece viene continuamente trascinato via dalla propria esistenza? Non posso chiederglielo: Memento non possiede un pensiero suo, che gli permetta di formulare una qualsivoglia risposta. Posso tentare di dare io quella risposta mancata, per quanto la mia coscienza, la mia personalità, i miei condizionamenti e la mia stessa capacità di ricordare me stesso mi rendano impossibile il rimanere imparziale e distaccato, come invece è Memento.

Forse la vita vera è proprio la sua. Una vita dove ciò che realmente conta è il fatto stesso di essere in esistenza e di percepire, per chissà quale misterioso motivo, quell’ “io sono” che più che di parole composte da suoni è una sensazione interiore di essere qualcosa di diverso dal “nulla” e, al tempo stesso, di essere un tutt’uno con quel qualcosa che vibra intorno. Probabilmente Memento percepisce solo e soltanto questo: la sua unione con il “tutto” del quale non ha mai imparato a definire contorni, confini e sfumature. Forse Memento percepisce l’esistenza come un qualcosa di insieme: non alberi, auto, palazzi… montagne in lontananza, ma un unico immenso quadro dipinto su una tela che fa da supporto infinito a tutto il colore in movimento che danza sopra di essa. Senza memoria, Memento non può dare un nome a quelle sfumature di colore che a me appaiono alberi. Non può estrapolare una parte da tutto l’insieme.

Comprendo, infine, che io mi sento separato grazie a questa mente che, scavando nella memoria, riesce a dare un nome a tutto ciò che i sensi percepiscono, mentre Memento è lui stesso quel tutto che io mi ostino a voler continuamente frammentare in pezzi sempre più piccoli e insignificanti.

 

Cominciai a invidiare Memento. Quel suo non capire la sua condizione era la comprensione ultima dell’inconoscibile, quella comprensione che mi ostinavo, inutilmente, di ottenere attraverso la separazione del me stesso dal tutto. “Non c’è nulla da comprendere” mi avrebbe certamente detto Memento se avesse avuto la possibilità di parlarmi: “Tutto è già qui e non si è mai mosso da qui”. Pensai che se Memento avesse avuto la possibilità di pronunciarmi quelle parole, sicuramente non avrebbe potuto pronunciarle comunque, in quanto sarebbe stato anche lui un essere umano “normale” come me. E come me non avrebbe mai potuto comprendere. Lo salutai, semplicemente alzando una mano, e uscii dalla stanza chiudendo dietro di me quella sagoma che ancora mi ostino a chiamare “porta”.

 

Sono trascorsi ormai vent’anni dal giorno in cui incontrai Memento per la prima volta...